Dreaming Calabria.
Tramonto in Sila |
Negli anni ’70 la denominazione viaggio di nozze non stava a
significare viaggi esotici e lussuosi ma, più banalmente, un breve soggiorno,
di solito in località romantiche per definizione: Venezia, Firenze ,
Roma... per i più ricchi: Parigi.
Mi sposai in settembre
(september more...), il mese più bello
dell’anno se Madame Malinconia si sposa con voi. Nè troppo freddo, nè troppo
caldo e una tavolozza di colori caldi e intensi per i quali ringraziare ogni
mattina gli dei. Eravamo originali per l’epoca e decidemmo un viaggio di nozze
itinerante, non programmato, che ci portasse ad esplorare i confini marittimi a
sud della nostra penisola.
Scendemmo fino a Sibari e lì
decidemmo di tagliare la punta dello stivale e attraversare la Sila diretti a
Vibo Valentia.
L’altopiano si offrì alla
nostra esplorazione con dignità maestosa e un po’ austera. Si concesse un
chilometro alla volta , rivelendoci i suoi
misteri con parsimonia, sì che potessimo meglio gustarli. Era un giorno feriale
e luminoso con un sole d’arancio candito. Traffico inesistente. Seguivamo in
silenzio le volute serpentine che ci portavano nel cuore di boschi bui e fitti.
La statale contorta saliva portandoci a scoprire piccoli borghi arroccati, le
case una sull’altra, quasi a proteggersi reciprocamente dalla feroce opulenza
della Sila. Un nome femminile, certo... non avrebbe potuto essere diversamente:
prosperosa e opulenta come una madre, feroce e bellissima come una femmina in
calore, misteriosa e incantata come una
dea. Odori fruttati di fichi d’india, di miele, di foglie appassite. Non
avevamo fretta e questo ci permetteva di goderci il paesaggio selvaggio e quasi
incontaminato.
Ci fermammo per sgranchirci le
gambe e il bosco - forse per omaggiare la nostra freschissima unione – ci
regalò un tappeto immenso di ciclamini di un tenue viola, talmente fitti
nell’autunnale fioritura da non mostrare nè foglia nè terriccio ma una sola,
compatta onda lilla – regno di fate e folletti – percorsa solo dal fremito di
fauna selvatica. Sembrava blasfemo deturpare quel tempio della natura anche
solo con la nostra silenziosa presenza. Attraversammo in punta di piedi la
radura tenendoci per mano e, dopo esserci ristorati con tanta armoniosa solitudine, proseguimmo. Il
giorno culminava e l’appetito cresceva. L’aria calda e profumata, ci avvolgeva
portandoci a reclamare buon cibo e buon vino.
Non si vedeva un ristorante da
inizio mattina nè tantomeno un bar. Nei paesini che avevamo attraversato
avevamo incontrato solo matrone dalle vesti nere, lunghe alle caviglie, armate
con cesti e anfore, sbucate da pieghe di un tempo antico e monelli sdruciti
dalla labbra sporche. Nonostante prestassimo la massima attenzione, non
riuscimmo a scorgere il benchè minimo accenno di ristorazione. Capitolammo e
chiedemmo informazioni ad un ragazzino dall’aria svelta come un furetto. Ci
diede indicazioni rapide e chiare, pur se in un dialetto a noi ostico. Le
seguimmo fedelmente e ci inerpicammo con la nostra auto su una strada sterrata
con crateri e sassaie da far pensare a un paesaggio post bellico.
In fondo si apriva un’aia su
cui era adagiata una casa contadina bassa e larga, guarnita da un grande
pergola su cui si arrampicava mollemente una vite opulenta dalle larghe foglie
verdi spruzzate di rosso ruggine con grappoli d’uva paciosi e grassi, lunghi un
braccio.
Una cascina, certo non un
ristorante – pensammo.
E invece... una cascina
adattata a ristorante!
A pochi chilometri l’ENI aveva
aperto un cantiere – non ricordo le circostanze precise - e gli operai dovevano
pur mangiare. Il padrone di casa ci accolse festosamente, tempestandoci di
cordiali domande e, ciarlando in maniera un po’ sospetta, ci fece accomodare -
con giusto orgoglio - sotto al diploma di bevitore scelto. Nella cucina ampia
si intravedeva una figura nera di donna. A poco a poco la sala si riempì di
operai che, con discrezione, chiedevano nostre notizie al proprietario: “Son giovani
sposini in viaggio di nozze!”.
Mangiammo splendidamente e
bevemmo un vino straordinario – rosa corallo –
dal gusto rotondo e aromatico che ben si sposava al cibo servito. Un pranzo
lento, dal tempo sospeso. Non pago di averci regalato un ottimo pranzo a un
prezzo irrisorio, il nostro ospite volle brindare più volte alla nostra salute,
prima da solo, e poi coinvolgendo gli operai che sorridevano amabili
lanciandoci salaci battute. Perfino la silenziosissima cuoca venne a salutarci
con un sorriso, nascosto dietro ad un enorme grappolo d’uva, regalo per me o
meglio per mio marito - come recitò la
dedica - che avrebbe potuto così dissetare la sua giovane sposa. Ce ne andammo
fra la polvere e i sorrisi. E tornammo a immergerci nel silenzio gravido
dell’altopiano. Abbrunava quando ci lasciammo la Sila alle spalle e ci parve di
lasciare una maestra ricca di severo sorriso.
Certo, certo... la Calabria è ricca di
bellissime città, mari straordinari, cale e porticcioli incantevoli, mirabili
tracce storiche... ma io lasciai un pezzetto di cuore sull’altopiano calabrese.
Ho ricordi un po’ nebulosi del mio viaggio di nozze - d’altra parte è passato
davvero tanto tempo - ma la Sila si disegna ancora nitida nella memoria, con la
sua beltà e i suoi silenzi.
La Sila (nel calabrese locale Sièla) è un altopiano
situato nella zona settentrionale della regione Calabria che si
estende per 150.000
ettari (il più grande d'Europa) attraverso
le province di Cosenza, Crotone e Catanzaro.
Il suo nome proviene dal greco Hyle che significa selva,
quindi bosco. Si divide (da nord a sud) in Sila Greca,
Sila Grande e Sila Piccola e i rilievi più alti sono: Monte Botte Donato (1.928 m ), Monte
Nero (1.881 m ),
Montagne della Porcina (1.826
m ), Serra Stella (1.813 m ), Monte
Curcio (1.788 m ),
Colli Pirilli (1766 m ),
Monte
Gariglione (1.765 m ),
Monte Scorciavuoi (1745 m ), Monte Femminamorta (1.730 m ), Monte
Volpintesta (1.729 m ),
Monte Pettinascura (1.689 m ), Serra
Ripollata (1682 m ),
Cozzo del telegrafo (1.679
m ), Monte Funnente (1674 m ), Monte
Carlomagno (1.669 m ),
Timpone della Guardiola (1.667
m ), Timpone Morello (1.665 m ), Monte Altare
(1.653 m ),
Timpone Vecchio (1.648
m ), Monte Scuro (1.633 m ), Cozzo del Principe (1600 m ) e Timpone della
Monaca (1.598 m ).
La Sila è entrata nell'imaginario collettivo per le
grandi nevicate, la presenza stabile dei lupi, quella stagionale dei funghi
porcini e per i suoi bellissimi laghi.
È il più vecchio parco nazionale della Calabria, tra i
primi 5 nati in Italia:
con D.P.R. 14.11.2002 sono stati istituiti il Parco Nazionale della Sila ed il
relativo Ente, che ricomprende i territori già ricadenti nello
"storico" Parco Nazionale della Calabria (1968) e tutela aree di
rilevante interesse ambientale per complessivi 73.695 ettari .
Rosarita Berardi
Faenza (RA)
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