Il nervo scoperto
C’è
un nervo che percorre il nostro sud.
E’ un nervo scoperto.
E’ stata
l’infrastruttura simbolo del boom italico degli anni Sessanta, ma allo stesso
tempo uno dei tracciati più discussi, denigrati, abbandonati e strumentalizzati
della nostra penisola. Oggi è purtroppo, il simbolo dell’inefficienza e della
inadeguatezza delle istituzioni, è l’opera che ha pagato e sta pagando, per la
sua costruzione e manutenzione, il più alto prezzo in vite umane.
Parte da Napoli,
città che è considerata la porta d’ingresso del Meridione e il suo tragitto è
un continuo serpeggiare tra territori così diversi tra loro per storia,
morfologia e popoli. Ciò che la rende unica è proprio accarezzare queste
diversità, in ogni uscita si trova un universo sempre diverso, inusuale anche a
distanza di venti chilometri.
Appena lasciata Napoli, la A 3 lambisce la costiera
Amalfitana, si inerpica sul massiccio del Pollino ad oltre 1200 mt., per poi
approdare nell’ellenica piana di Sibari, ricca di storia e fulcro di una
florida attività agricola. Passa da Tarsia (CS), nei pressi del cui svincolo
autostradale sorge probabilmente l’unico campo di concentramento nel meridione
dell’ultima guerra, il Ferramonti.
Ora è un museo, simbolo di quel ricordo che
rimarrà indelebile nella storia di un paese. E poi Cosenza, moderna città
Bruzia, con i suoi misteri di era visigota con l’affascinante e antico centro
storico. La risalita fino a quasi 700mt. attraversa le serre cosentine entrando
poi nel comprensorio del Savuto, famoso per la coltivazione di uva da vino, e
di nuovo giù fino al mare nel lametino, passando a poche centinaia di metri
dall’aereoporto internazionale di Lamezia Terme. Continuando, si trovano gli
svincoli di Pizzo e Vibo Valentia che sono l’accesso ad una delle zone costiere
più belle e riconosciute nel mondo, Pizzo Calabro (VV) e Tropea (VV) con tutto
il suo hinterland.
Gli ultimi settanta chilometri circa, sono la vera scommessa
di questa arteria. Si comincia nel transitare nella zona delle cosiddette
“Serre” con icone storiche di notevole importanza.
L’attenzione si accentra
tutta sulla “Certosa” di Serra San Bruno e sull’omonimo paese carico di storia
e fede. La comparsa dei primi uliveti e aranceti sono l’anticamera della Piana
di Gioia Tauro. E’ qui che la connotazione di questo tracciato assume una
visione surreale, contraddittoria, come una contrapposizione forte tra l’antico
e il moderno.
Il serpente d’asfalto, gli arcuati e modernissimi viadotti, gli
innovativi tunnel, cozzano con secolari coltivazioni e arretrati sistemi di
pastorizia. La maestosità e modernità dell’area portuale di Gioia Tauro, in questa
parte di specchio di mare solcato solo da immense navi cargo con in spalla
migliaia di container venuti da chissà dove, stona con le umili abitazioni
quasi tutte rimaste incompiute. Quindi, la Rosarno degli immigrati sfruttati, umiliati,
rubati della loro dignità, dediti alla raccolta dell’oro rosso, il frutto che
tutto il mondo ci invidia, città di frontiera in tutti i sensi.
Poi il
paesaggio magicamente cambia, ti travolge, si scorge la Costa Viola con
Bagnara e Scilla e, di fronte, un magnifico colpo d’occhio su Messina, lembo
affascinante di costa menzionato fin dall’antichità, definito un paradiso
terrestre e, come recitavano poemi e leggende di ellenici scrittori, abitato da
sirene che circuivano stolti marinai a cadere nelle loro braccia, incontro alla
morte. Nelle belle giornate, senza foschia, la strada ci consegna anche la
vista di Catania e del suo possente e minaccioso vulcano.
E’ questo che
colpisce, come un pugno nello stomaco e la domanda sorge. Cosa ci fa
un’autostrada saldata su questi meravigliosi luoghi? E’ questo il prezzo da
pagare al progresso e alla nostra mobilità? Deve allora essere, per forza il
nostro volano, ora non possiamo più permettere di violentare gratuitamente questa
terra, meravigliosamente ricca e desolatamente povera, ricca di natura, povera
nelle genti. Visto che c’è, facciamola funzionare e diventare spina dorsale di
una schiena dritta e non solo un nervo scoperto.
Nell’ultimo tratto, la strada
si fa pianeggiante, longilinea, attraversa lo svincolo di Villa San Giovanni,
porta di uscita verso la
Sicilia , simbolo di un andirivieni di turisti e pendolari, di
antica memoria. Ormai i traghetti che guadano quotidianamente questo canale, di
irruenti e profonde correnti, fanno parte dei panorami, quasi morfologicamente
sposati ad essi.
La strada finisce nel tessuto urbano della prima periferia
dell’ultima città dello stivale. Quasi a simboleggiare un connubio, si lega a
quel chilometro di lungomare che molti definiscono uno dei più belli d’Italia,
ma non D’Annunzio, che a Reggio Calabria, diversamente da quanto recitano testi
più o meno noti, qui non ha mai messo piede.
Buon
viaggio.
KKK
Commenti
Posta un commento
Grazie per il tuo contributo.