Il nervo scoperto







C’è un nervo che percorre il nostro sud. 
E’ un nervo scoperto. 
E’ stata l’infrastruttura simbolo del boom italico degli anni Sessanta, ma allo stesso tempo uno dei tracciati più discussi, denigrati, abbandonati e strumentalizzati della nostra penisola. Oggi è purtroppo, il simbolo dell’inefficienza e della inadeguatezza delle istituzioni, è l’opera che ha pagato e sta pagando, per la sua costruzione e manutenzione, il più alto prezzo in vite umane.  
La Salerno-Reggio Calabria o, più correttamente, Napoli-Reggio Calabria, posa la sua prima pietra il 1959, voluta fortemente dall’allora Primo Ministro, Amintore Fanfani. La sua storia è paragonabile alla più famosa ed imponente opera di Michelangelo nella patria della cristianità. E’ stata ed è tutto ed il contrario di tutto, scambio di favori tra politica e società, terreno di scontri istituzionali e persino spunto di localismi fuori da ogni logica. Ma la A3, derivante dal collegamento tra A2 (Napoli-Salerno) e A3 (Salerno-Reggio Calabria) è lì da quasi sessanta anni e finalmente parrebbe essere in via di completamento. Dovrà, soprattutto per rispetto a quelle vite spezzate, per forza di cose essere il nuovo volano di sviluppo delle tre regioni che attraversa e sui cui bisognerà programmare un futuro degno di questo nome. Un futuro basato su uno sviluppo ripensato in veste più innovativa e tenendo conto di un utilizzo dei tracciati in chiave turistica, itinerante.  
Parte da Napoli, città che è considerata la porta d’ingresso del Meridione e il suo tragitto è un continuo serpeggiare tra territori così diversi tra loro per storia, morfologia e popoli. Ciò che la rende unica è proprio accarezzare queste diversità, in ogni uscita si trova un universo sempre diverso, inusuale anche a distanza di venti chilometri. 
Appena lasciata Napoli, la A3 lambisce la costiera Amalfitana, si inerpica sul massiccio del Pollino ad oltre 1200 mt., per poi approdare nell’ellenica piana di Sibari, ricca di storia e fulcro di una florida attività agricola. Passa da Tarsia (CS), nei pressi del cui svincolo autostradale sorge probabilmente l’unico campo di concentramento nel meridione dell’ultima guerra, il Ferramonti. 
Ora è un museo, simbolo di quel ricordo che rimarrà indelebile nella storia di un paese. E poi Cosenza, moderna città Bruzia, con i suoi misteri di era visigota con l’affascinante e antico centro storico. La risalita fino a quasi 700mt. attraversa le serre cosentine entrando poi nel comprensorio del Savuto, famoso per la coltivazione di uva da vino, e di nuovo giù fino al mare nel lametino, passando a poche centinaia di metri dall’aereoporto internazionale di Lamezia Terme. Continuando, si trovano gli svincoli di Pizzo e Vibo Valentia che sono l’accesso ad una delle zone costiere più belle e riconosciute nel mondo, Pizzo Calabro (VV) e Tropea (VV) con tutto il suo hinterland. 

Gli ultimi settanta chilometri circa, sono la vera scommessa di questa arteria. Si comincia nel transitare nella zona delle cosiddette “Serre” con icone storiche di notevole importanza. 
L’attenzione si accentra tutta sulla “Certosa” di Serra San Bruno e sull’omonimo paese carico di storia e fede. La comparsa dei primi uliveti e aranceti sono l’anticamera della Piana di Gioia Tauro. E’ qui che la connotazione di questo tracciato assume una visione surreale, contraddittoria, come una contrapposizione forte tra l’antico e il moderno. 
Il serpente d’asfalto, gli arcuati e modernissimi viadotti, gli innovativi tunnel, cozzano con secolari coltivazioni e arretrati sistemi di pastorizia. La maestosità e modernità dell’area portuale di Gioia Tauro, in questa parte di specchio di mare solcato solo da immense navi cargo con in spalla migliaia di container venuti da chissà dove, stona con le umili abitazioni quasi tutte rimaste incompiute. Quindi, la Rosarno degli immigrati sfruttati, umiliati, rubati della loro dignità, dediti alla raccolta dell’oro rosso, il frutto che tutto il mondo ci invidia, città di frontiera in tutti i sensi. 
Poi il paesaggio magicamente cambia, ti travolge, si scorge la Costa Viola con Bagnara e Scilla e, di fronte, un magnifico colpo d’occhio su Messina, lembo affascinante di costa menzionato fin dall’antichità, definito un paradiso terrestre e, come recitavano poemi e leggende di ellenici scrittori, abitato da sirene che circuivano stolti marinai a cadere nelle loro braccia, incontro alla morte. Nelle belle giornate, senza foschia, la strada ci consegna anche la vista di Catania e del suo possente e minaccioso vulcano. 
E’ questo che colpisce, come un pugno nello stomaco e la domanda sorge. Cosa ci fa un’autostrada saldata su questi meravigliosi luoghi? E’ questo il prezzo da pagare al progresso e alla nostra mobilità? Deve allora essere, per forza il nostro volano, ora non possiamo più permettere di violentare gratuitamente questa terra, meravigliosamente ricca e desolatamente povera, ricca di natura, povera nelle genti. Visto che c’è, facciamola funzionare e diventare spina dorsale di una schiena dritta e non solo un nervo scoperto. 
Nell’ultimo tratto, la strada si fa pianeggiante, longilinea, attraversa lo svincolo di Villa San Giovanni, porta di uscita verso la Sicilia, simbolo di un andirivieni di turisti e pendolari, di antica memoria. Ormai i traghetti che guadano quotidianamente questo canale, di irruenti e profonde correnti, fanno parte dei panorami, quasi morfologicamente sposati ad essi. 
La strada finisce nel tessuto urbano della prima periferia dell’ultima città dello stivale. Quasi a simboleggiare un connubio, si lega a quel chilometro di lungomare che molti definiscono uno dei più belli d’Italia, ma non D’Annunzio, che a Reggio Calabria, diversamente da quanto recitano testi più o meno noti, qui non ha mai messo piede.
Buon viaggio.
KKK

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