La pasionaria di Calabricata.


Nell’immediato secondo dopoguerra italiano, i movimenti di lotta contadina per l’occupazione delle terre incolte si svilupparono prepotentemente in Calabria e in tutto il Meridione.
Le battaglie antilatifondiste, tra il 1944 e il 1950, furono segnate dal sangue dei contadini. Da ricordare, in questo contesto, l’eccidio di Melissa – nel crotonese – e la strage di Portella della Ginestra in Sicilia. La storia di Giuditta Levato s’inquadra in questo frangente storico. Nata il 18 agosto 1915 a Calabricata di Albi – oggi comune di Sellia Marina, provincia di Catanzaro, dal 1956 – fu la prima vittima della repressione agraria: una donna in stato di gravidanza.
Suo padre, Salvatore, e sua madre, Rosa Romania, lavoravano la terra. Giuditta passò i suoi anni tra la casa ed il campo ad aiutare i genitori ed i fratelli. Lavoro duro, spesso ingrato, ma altrettanto onesto ed umile. A 21 anni sposò un contadino, Pietro Scumaci, il quale la lasciò madre nel 1941 in quanto chiamato alle armi. Negli anni del secondo conflitto mondiale, Giuditta sostituì il marito nei campi, aiutando il padre ed i fratelli: coltivò la terra, raccolse il grano e diede il pane ai propri figli in modo tale da sopperire alla mancanza del padre, bloccato sul fronte di guerra. Terminato il conflitto, il marito tornò fortunatamente sano e salvo. La famiglia si ricompose e passò un breve periodo di serenità. Ma la calma non durò molto. Le lotte contadine si susseguivano ormai dal 1944, da quando, cioè, era entrata in vigore la Legge Gullo – dal nome del “Ministro dei contadini” catanzarese – la quale assegnava parte dei latifondi ai contadini italiani che, riuniti in cooperative, lavoravano la terra. Il Partito comunista italiano rappresentava l’ariete politico di sfondamento contro le palizzate issate dai grandi proprietari fondiari, ostinati a non cedere le proprie terre nonostante la nuova legge. Il ‘verbo comunista’ si diffuse rapidamente nella frazione di Calabricata già prima della fine del conflitto. La presenza maggioritaria di contadini nella zona fomentava gli sforzi dell’estrema sinistra nella battaglia contro i padroni. Giuditta Levato abbracciò lotta per la “redenzione del proletariato”, come avrebbe detto nel celebre discorso di commemorazione della defunta il senatore Pasquale Poerio. S’iscrisse al PCI e, grazie al suo testardo lavoro, nacquero a Calabricata prima la sezione del partito, poi la cooperativa e la lega. “Si dice” – dirà in seguito il senatore Poerio – “che Giuditta parlasse in maniera buona, in maniera semplice – con linguaggio solito ai contadini – di questa grande idea che si chiama Comunismo, che libera gli uomini dal bisogno, che libera gli uomini dalle guerre, che li fa diventare più buoni, più onesti, più umani”.Giuditta, dato il suo retaggio, trasmise in politica la volontà prima della sua classe: la terra ai contadini. Il dominio dei padroni doveva finire: la terra doveva essere ceduta ai lavoratori del paese.

Nella tarda mattinata del 28 novembre 1946, Giuditta – incinta di sette mesi del terzo figlio – si recò nei campi coltivati da lei e dai suoi compaesani. Il decreto Gullo era in vigore ormai da tempo e la stessa Commissione provinciale per le terre incolte permetteva tranquillamente ai contadini di lavorare. Gli agrari, tuttavia, non chinarono la testa. Uno di essi, Pietro Mazza, decise quella mattina di dare una lezione ai “contadini usurpatori di terre”. Una fucilata di un manovale di Mazza colpì in pieno addome – quasi a voler spegnere la vita dentro la vita di Giuditta Levato – la donna gravida. Sanguinante, venne trasportata a casa e poi in ospedale. Fu tutto inutile. In punto di morte, la pasionaria di Calabricata ebbe la forza di dire: “Io sono morta per loro, sono morta per tutti. Ho dato tutto alla nostra causa, per i contadini, per la nostra idea; ho dato me stessa, la mia giovinezza; ho sacrificato la mia felicità di giovane sposa e di giovane mamma. Ai miei figli, essi sono piccoli e non capiscono ancora, dirai” – si rivolgeva al senatore Pasquale Poerio – “che io sono partita per un lungo viaggio ma ritornerò certamente, sicuramente. A mio padre, a mia madre, ai miei fratelli, alle mie sorelle, dirai che non voglio che mi piangano, voglio che combattano, combattano con me, più di me, per vendicarmi”.
La donna aveva solo 31 anni. Dopo la sua morte, la violenza padronale proruppe l’anno successivo anche a Petilia Policastro e, nel 1949, a Melissa. I martiri-contadini di Calabria passarono tristemente alla storia.

Damiano Praticò

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