Ferrosi Silenzi.
![]() |
La stazione di Moccone |
Faceva freddo lunedì scorso (29/12), molto freddo. Il
termometro in città era posizionato sui 2/3°, ma qualche schizzo di luce
solare, che faceva capolino tra minacciose e grigiastre coltri di nuvole mi
avevano messo la voglia di far un salto in Sila. Da Cosenza quei raggi
rimbalzavano indietro, irradiando la città, ripudiati dalla candida coperta che
avvolgeva l’altopiano. Era la prima e consistente nevicata in Sila. Non ci ho
pensato un attimo e con un’idea ben precisa
ho valicato Fago del Soldato, dove il manto bianco superava
abbondantemente i 20 cm. Moccone 1^ tappa. Assaggio di neve fresca, bevuta di
gelida acqua alla fontana e immediato all’udito, un felpato silenzio mi ha
spinto all’interno della stazione ferroviaria di Moccone. Il sapore ovattato di
quella vista, quasi diventava fastidioso o forse, più coscientemente, lo era
l’assoluto silenzio e abbandono di quel posto.
Un deserto bianco, straordinario
e allo stesso tempo tragico. Su quella neve abbondantemente adagiata si leggeva
un grande senso di oppressione che soffocava emozioni, celava ricordi,
imprigionava ferrosi silenzi.
I silenzi di una strada ferrata che non c’è più,
se non in estate, forse, se non per qualche corsa di un’arcaica e buffa
macchina a vapore che scarrozza qualche turista dal niente verso il niente. Ma
quel tracciato è bellissimo, è il custode della storia della scoperta di questa
montagna, unica a queste latitudini, una storia nata nella seconda metà degli
anni venti.
Ora giace, sotterrata nel silenzio, proprio come la neve che ne
copre e ne ovatta le grida. Camminando, scoprivo come questa linea di ghiaccio
rendeva preciso il percorso, come se fosse asfaltato, ma non di un inquinante
miscuglio di catrame, calcare e sabbia, ma bianca scia che illumina la giusta
direzione.
E tutto intorno un mondo, perfetta fusione tra natura e uomo, paesaggio naturale sposato con la ferrovia, poco invasiva, matrimonio perfetto. Pareva fosse stata la natura stessa la mano di questa opera. Il tragitto fino alla stazione di San Nicola di Silvana Mansio è un avvicendarsi di emozioni, di scorci mirabili, dietro ogni curva si proietta un’immagine nuova, entusiasmante. E’ una corsa alla diversità della flora, ricca ed impressionabilmente cangiante anche da un lato all’altro dei binari. San Nicola è a metà di un lungo rettilineo divenuto difensore di quegli scambi, quei segnali, quella bocca per il rifornimento della locomotiva, lì da antica memoria e per niente intaccati dal inesorabile attraversare del tempo. La piccola stazione è abitata, parte di essa è stata recuperata a nuova vita insieme all’oggetto simbolo della strada ferrata e che con essa si fondeva. E’ un treno, fermato per sempre su gelide basi ferrose. Quattro vagoni anni 60, in parte recuperati, riverniciati, restituiti a futura vita come ambasciatori dell’enogastronomia locale. E’ un treno ristorante. Ma le ultime foto scattate non hanno aperto il solo obiettivo, hanno acceso il ragionamento sul futuro di questo percorso. La società che gestisce questa tratta (Ferrovie della Calabria), ha ritenuto non investire più sul treno, non era economicamente vantaggioso, hanno dirottato il trasporto delle persone su gomma. Innovatori!!! Polemizzare sulla questione è sterile, è tempo perso, chi dovrebbe ascoltare non ascolta, è solo pagato (e bene) per prendere supinamente ordini (quasi sempre schizofrenici e per ambigui e personali interessi) come un bravo soldatino, muto e rassegnato.
E allora vi
suggerisco un esperimento: quattro parole + un’idea= un progetto.
Le parole sono #bike #trekking #food #culture.
Premesso che l’idea non è nuova e neanche mia, però saper
copiare qualcosa di buono, adattarlo al territorio e renderlo fruibile è forse cosa più
difficile di quanto creare ex-novo. Rivedere il significato da percorso ad
itinerario. Rimuovere binari e riciclarli, riadattare il rilevato e renderlo
percorribile a ciclo-turisti, ciclo-amatori e ciclo-atleti (#bike); camminatori
dilettanti e professionisti, podisti, marciatori (#trekking); gastronauti e
camminatori del gusto (#food); amanti della montagna, cercatori di storia,
archeologi, artisti di strada (#culture). Recuperare le stazioni come ristoro
del corpo e dell’anima, renderle accoglienti, interattive e propositive, centri
di cultura e trasferimento di conoscenza, di rigenerazione sociale. Per tutto
l’anno, anche quando cade abbondante la neve, che trasforma il percorso in
pista per sottilissimi sci di fondo o calpestio di
tondeggianti ciaspole per chi è di pensiero slow. E’ un’idea basata sulla
condivisione, sull’unità di intenti, molto eco-sostenibile gravando pochissimo
sulle disponibilità finanziarie delle istituzioni, senza voli pindarici, senza
progetti faraonici, senza coinvolgere chi non ha le competenze, senza dire ma
FARE, e soprattutto con l’ausilio di abitanti, associazioni, comitati e
turisti. Tutto in corsa non su vecchi binari ferrosi, ma su innovativi
tracciati social. La vera innovazione è questa, il cambio di visione.
A
proposito del copiare vi segnalo questo: Ferrovia Spoleto-Norcia
Copiate gente, copiate…
Buon 2015!
@kkkmarano
Commenti
Posta un commento
Grazie per il tuo contributo.